La professione di fede pedagogica, educativa e didattica nel magistero del Preside Biagio Auricchio.

 

Nel Settimo Anniversario della scomparsa del Preside Biagio Auricchio

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Il 25 maggio ricorre il settimo anniversario dell’incontro definitivo con il Signore dell’anima benedetta del compianto esemplare apostolo dei giovani, Preside Biagio Auricchio, fondatore di questo tempio di cultura e di umanità dove quotidianamente celebriamo la rinascita dell’uomo alla propria identità, alla luce del Suo integerrimo magistero, del Suo fervoroso entusiasmo e della Sua coraggiosa e perspicace fede nella missione educativa da Lui ritenuta ispirata dalla celeste provvidenza, alla quale era stato “convertito” dalla lettura delle opere manzoniane.

Abbiamo testimoniato il nostro ricordo affettuoso e l’abbiamo ringraziato della inestimabile eredità spirituale e culturale che ci ha lasciato, tramandandoci il culto delle Sue virtù di educatore saggio e generoso, illuminato ed amorevole, nonché di operatore intelligente ed apostolico.

Tutti gli riconosciamo la Sua eccellente e provvida missione di elevazione culturale a favore dei giovani dei ceti popolari e contadini della “plaga nolana e vesuviana” (come soleva chiamare il territorio della zona sottosviluppata afferente) che, senza la sua caritatevole opera meritoria, sarebbero restati nel mondo degli umili e dei mediocri.

Lo ringraziamo per aver creato per l’allora trascurata società operaia e contadina di periferia questa pregevole Istituzione, che nel tempo si è venuta affermando sempre più come un prezioso punto di riferimento formativo per tutti quei giovani che aspirano ad effettuare un percorso sereno di sicura maturazione culturale, morale, professionale, sociale e civile.

Dal suo munifico cuore, a partire dal 1969, sgorga questa inesauribile sorgente che appaga la sete di cultura di quanti vogliono crescere saldamente negl’ideali filantropici dell’autentica democratica e produttiva partecipazione, alla luce della concezione umanistica della migliore tradizione pedagogica, svincolata dal monopolio scolastico statalista e che riverbera un inestimabile patrimonio di idee, di passioni e di impegno che costituisce il vanto ereditario di questa operosa comunità educativa.

E non può essere diversamente, perché noi tutti ci ispiriamo alla Sua nobilissima figura di apostolico maestro dei giovani, altrettanto singolare e distinta, quanto umile e schiva di umana ambizione, ma sempre esplosiva di bene e di amore.

 

Con queste note intendiamo evidenziare che fondamento della sua filosofia pedagogica concreta è stata la massima e profonda convinzione che l’educazione è contatto dialogico costruttivo di persone che operano in un ambiente razionalmente predisposto e scientificamente ordinato non solo alla costruzione del sapere ma soprattutto alla conquista della responsabile autonomia.

Egli si sentiva un educatore naturalmente e deontologicamente obbligato ad aiutare i giovani, dopo averli ascoltati, a liberarsi dai condizionamenti e dall’alienazione in quanto li riteneva tutti indistintamente destinati ad agire con impegno nella storia per recare il proprio contributo al trionfo degli ideali della giustizia sociale, mediante il consolidamento dell’umanesimo integrale in azione.

A tal uopo, stimolava i docenti affinché si adoperassero abilmente ad esortare, guidare e sostenere i giovani ad imparare il “mestiere d’uomo” con la presa di coscienza del suo valore, impegnando non solo la loro intelligenza astrattiva ma anche quella affettiva, fecendole interagire reciprocamente in un clima relazionale con cooperazione di tipo socio- affettivo e socio-operativo, tramite un’azione didattica fondata sulla comunicazione efficace che coinvolge tutte le dimensioni, fattori e risorse della personalità, intellettivi ed extraintellettivi.

Tutto era compendiato fervorosamente nella massima “Il cuore ha delle ragioni che l’intelletto non ha” (Pascal). Di qui il suo umanesimo integrale!

Dunque una figura di educatore diversa dal solito era quella del preside Biagio Auricchio, in quanto professava una pedagogia attivata da una didattica operativa, proiettata verso la costruzione del futuro, ma pur sempre ancorata agli sperimentati valori tradizionali e incorruttibili e non negoziabili che gli illuminavano il cammino, onde evitare le crisi delle utopiche euforie dell’errore.

Sul Preside Auricchio Biagino, come tutti gli amici universitari affettuosamente lo chiamavamo per la singolarità del suo carattere e per la finezza dei sentimenti, fra i più autorevoli letterati, filosofi e pedagogisti, tre in particolare esercitarono un fascino eccezionale ed una decisiva influenza sulla costruzione della sua profonda formazione umana e sul consolidamento della sua saldezza professionale.

Stimolarono intensamente l’acutezza del suo spirito critico ed orientarono decisivamente la sua tendenza premurosa ad immedesimarsi sensibilmente nei bisogni educativi e formativi dei giovani donando loro la sua inesauribile generosa disponibilità per risvegliare in loro l’autostima e, quindi, la responsabilità a seguirne la guida e l’insegnamento.

Attratti dal suo intelligente carisma, dalla sua cosciente fermezza, dalla sua appassionata costanza e dalla sua severa autorevolezza, anche i più riottosi si tranquillizzavano ed ascoltavano le sue piacevoli ed interessanti lezioni che teneva nella sua presidenza a gruppi di instabili ed indisciplinati che erano adusi a disturbare il clima operoso in classe.

Dopo un ragionevole periodo di questa sana ed efficace terapia didattica, gli studenti recuperati ritornavano in classe disciplinati, responsabili e recuperati anche nel profitto.

I tre grandi maestri del Preside Auricchio furono Maria Montessori, Alessandro Manzoni ed Immanuel Kant.

Dalla Montessori trasse l’ispirazione, il conforto e la passione a rivolgere interesse, attenzione ed energie alla effettiva scoperta del bambino, padre dell’uomo, ed allo sviluppo della grande potenzialità della personalità umana in corso di formazione.

Diceva sempre che occorre imparare da lui, ossia dalle sue manifestazioni spontanee, per perfezionarsi come educatori, affinché dall’osservazione si possa passare alla trasformazione, guidandolo attraverso gli aspri sentieri dell’indipendenza, senza però mai agire in vece sua.

Soleva ripetere, con la Montessori, che bisogna iniziare dall’infanzia per aiutarlo a costruirsi, fin dalla tenera età un carattere forte, uno spirito vivace e una cultura vasta e completa per affrontare l’incertezza del futuro e del progresso della scienza e delle sue applicazioni.

Sulla base di queste considerazioni e motivazioni fondò quest’Istituzione comprensiva, che soleva chiamare officina di umanità, nella quale si forgia l’uomo cittadino del mondo, ad iniziare dalla culla fino alle soglie dell’università.

Dal Manzoni, delle cui opere fu appassionato studioso, aveva ereditato la predilezione per le piccole cose che esprimono grandi sentimenti. Aveva tratto con intelligenza limpida, con convinzione e fermezza il grande messaggio pedagogico della sua profonda interiorità morale e spirituale consistente nel biasimo della giustizia ingiusta, per l’iniquità della condanna pronunciata dai giudici della Colonna Infame, succubi delle passioni e dei pregiudizi umani e vittime della loro scarsa coscienza giuridica. Rei per aver ignorato che l’uomo deve credere che la vita è tetra e che la gloria umana è vuota, se non illuminate, assistite e consolate dalla pace e dalla provvidenza di Dio.

Nello studio delle opere di Kant  era stato attratto dalla legge morale, espressa nel comando universale e sacro dell’imperativo categorico, contenuto nelle note tre massime, di cui prediligeva la seconda, in quanto si concilia meglio con la dottrina dell’uomo, quale portatore di valori assoluti, di San Tommaso, ribadita da Jacques Maritain.

Nell’interpretare il contesto della massima “Opera in modo da trattare l’umanità nella tua come nell’altrui persona sempre come fine, mai come semplice mezzo” , Biagio, come fervente cattolico praticante, metteva a fuoco, con la sua impeccabile ermeneutica, il concetto dell’umanità come fine.

Il che voleva e vuole significare il trionfo del paidocentrismo, ossia la valorizzazione della centralità del bambino e della sua libertà spirituale, con la conseguente rivoluzione copernicana che sposta il docente dal centro alla periferia, che trasforma il programma da fine a mezzo restituendo didatticamente la naturale autenticità alla persona umana fondata sui postulati della dignità, della libertà, dell’autonomia, del dovere, della giustizia e dell’onestà, che è migliore di ogni politica.

A tutti quelli che lamentavano difficoltà nei compiti, soleva ripetere l’esortazione Kantiana: “Tu devi, dunque, puoi”.

Si lamentava però che la società del consumismo irrispettosa, egoista, intrigante e corrotta insiste nel considerare il bambino nuovamente come se fosse una cosa ossia come mezzo di profitto mercantile, privandolo ancora una volta della sua dignità e della sua sacralità.

Per contrastarla, ha voluto creare questa scuola affermatrice di vita e di servizio, alla quale ha affidato il compito di ridare al “padre dell’uomo” la sua dignità, il senso dei suoi valori, soprattutto quello morale, culturale e politico di cittadino libero per una libera convivenza democratica.

Come si è notato dal discorso fin qui fatto, la sua aderenza teoretica e speculativa al pensiero ed all’azione dei tre Grandi, che aveva eletto a suoi preferiti maestri, gli consentì di concepire l’educazione come opera ineluttabile di costruzione morale della personalità e la didattica come arte e scienza di piccole cose, capaci di far realizzare grandi ideali.

Ma questo esige, che l’educatore si faccia coerentemente testimone del suo insegnamento con un tenore di vita incontrovertibile, autenticamente umana, come aveva fatto Lui quando scelse per sé Montessori, Kant e Manzoni, sollecitato dal prof. Roberto Mazzetti che seguì per un quadriennio all’università di Salerno.

E fu una scelta provvidenziale in quanto da essa scaturisce inesorabile questa scuola sorgente di cultura, di umanità e di civiltà, che sarà immortalata nel tempo per i migliori destini della gioventù che forma.

Talché, ne viene a sorseggiare la linfa salutare di questi valori che la irrobustiscono per affrontare saldamente e responsabilmente la sfida dell’incertezza del futuro che minaccia la tensione etica della libertà e la sicurezza del progetto universale dell’esistenza.

Siamo convinti che ne usciranno vittoriosi perché i docenti di questa istituzione, alla luce della sua insistente esortazione, che aveva mutuato da Kant, non insegnano loro pensieri, ma insegnano a pensare pensieri e che il miglior modo di comprendere è il fare.

E’ per questo che rimane in noi indelebile il ricordo della sua eccezionale personalità, la quale del magistero educativo fece la ragione della propria vita, impegnando tutte le sue energie per gli altri e non per sé, tant’é che la trascurò al punto tale da sacrificarla sul campo alla causa educativa delle giovani generazioni.

Soprattutto quelle contemporanee, che non hanno avuto l’opportunità di conoscere il Suo tatto, la serena austerità ed il garbo psicologico; di godere della Sua costante e premurosa presenza che, anche nel silenzio, emanava i Suoi muti, ma eloquenti messaggi che vibravano di vivacità provvidenziale, di incoraggiamento e di sostegno soprattutto ai più bisognosi di aiuto nella difficile impresa autoeducativa.

Per dare tutta la solennità alla commemorazione e per consolidarne nell’intimo la Memoria, ai giovani che non hanno avuto la fortuna di conoscerlo mi rivolgo con un verso meraviglioso del divino Poeta, tanto caro al Preside Biagio, mio compagno di studi condivisi all’università, mio più che fraterno amico nella vita, mio sostegno ideale ora nella continuazione della Sua opera:

 

“e se ‘l mondo sapesse il cor ch’elli ebbe…

assai lo loda, e più lo loderebbe” (Paradiso 6,140-142)

 

 

Alessandro Scognamiglio