Nel Settimo Anniversario della scomparsa del Preside Biagio Auricchio
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Il
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maggio ricorre il settimo anniversario dell’incontro definitivo con il
Signore dell’anima benedetta del compianto esemplare apostolo dei giovani,
Preside Biagio Auricchio, fondatore di questo tempio di cultura e di umanità
dove quotidianamente celebriamo la rinascita dell’uomo alla propria
identità, alla luce del Suo integerrimo magistero, del Suo fervoroso
entusiasmo e della Sua coraggiosa e perspicace fede nella missione educativa
da Lui ritenuta ispirata dalla celeste provvidenza, alla quale era stato
“convertito” dalla lettura delle opere manzoniane.
Abbiamo testimoniato il nostro
ricordo affettuoso e l’abbiamo ringraziato della inestimabile eredità
spirituale e culturale che ci ha lasciato, tramandandoci il culto delle Sue
virtù di educatore saggio e generoso, illuminato ed amorevole, nonché di
operatore intelligente ed apostolico.
Tutti gli riconosciamo la Sua
eccellente e provvida missione di elevazione culturale a favore dei giovani
dei ceti popolari e contadini della “plaga nolana e vesuviana” (come soleva
chiamare il territorio della zona sottosviluppata afferente) che, senza la
sua caritatevole opera meritoria, sarebbero restati nel mondo degli umili e
dei mediocri.
Lo ringraziamo per aver creato
per l’allora trascurata società operaia e contadina di periferia questa
pregevole Istituzione, che nel tempo si è venuta affermando sempre più come
un prezioso punto di riferimento formativo per tutti quei giovani che
aspirano ad effettuare un percorso sereno di sicura maturazione culturale,
morale, professionale, sociale e civile.
Dal suo munifico cuore, a partire
dal 1969, sgorga questa inesauribile sorgente che appaga la sete di cultura
di quanti vogliono crescere saldamente negl’ideali filantropici
dell’autentica democratica e produttiva partecipazione, alla luce della
concezione umanistica della migliore tradizione pedagogica, svincolata dal
monopolio scolastico statalista e che riverbera un inestimabile patrimonio
di idee, di passioni e di impegno che costituisce il vanto ereditario di
questa operosa comunità educativa.
E non può essere diversamente,
perché noi tutti ci ispiriamo alla Sua nobilissima figura di apostolico
maestro dei giovani, altrettanto singolare e distinta, quanto umile e schiva
di umana ambizione, ma sempre esplosiva di bene e di amore.
Con queste note intendiamo
evidenziare che fondamento della sua filosofia pedagogica concreta è stata
la massima e profonda convinzione che l’educazione è contatto dialogico
costruttivo di persone che operano in un ambiente razionalmente predisposto
e scientificamente ordinato non solo alla costruzione del sapere ma
soprattutto alla conquista della responsabile autonomia.
Egli si sentiva un educatore
naturalmente e deontologicamente obbligato ad aiutare i giovani, dopo averli
ascoltati, a liberarsi dai condizionamenti e dall’alienazione in quanto li
riteneva tutti indistintamente destinati ad agire con impegno nella storia
per recare il proprio contributo al trionfo degli ideali della giustizia
sociale, mediante il consolidamento dell’umanesimo integrale in azione.
A tal uopo, stimolava i docenti
affinché si adoperassero abilmente ad esortare, guidare e sostenere i
giovani ad imparare il “mestiere d’uomo” con la presa di coscienza del suo
valore, impegnando non solo la loro intelligenza astrattiva ma anche quella
affettiva, fecendole interagire reciprocamente in un clima relazionale con
cooperazione di tipo socio- affettivo e socio-operativo, tramite un’azione
didattica fondata sulla comunicazione efficace che coinvolge tutte le
dimensioni, fattori e risorse della personalità, intellettivi ed
extraintellettivi.
Tutto era compendiato
fervorosamente nella massima “Il cuore ha delle ragioni che l’intelletto non
ha” (Pascal). Di qui il suo umanesimo integrale!
Dunque una figura di educatore
diversa dal solito era quella del preside Biagio Auricchio, in quanto
professava una pedagogia attivata da una didattica operativa, proiettata
verso la costruzione del futuro, ma pur sempre ancorata agli sperimentati
valori tradizionali e incorruttibili e non negoziabili che gli illuminavano
il cammino, onde evitare le crisi delle utopiche euforie dell’errore.
Sul Preside Auricchio Biagino,
come tutti gli amici universitari affettuosamente lo chiamavamo per la
singolarità del suo carattere e per la finezza dei sentimenti, fra i più
autorevoli letterati, filosofi e pedagogisti, tre in particolare
esercitarono un fascino eccezionale ed una decisiva influenza sulla
costruzione della sua profonda formazione umana e sul consolidamento della
sua saldezza professionale.
Stimolarono intensamente
l’acutezza del suo spirito critico ed orientarono decisivamente la sua
tendenza premurosa ad immedesimarsi sensibilmente nei bisogni educativi e
formativi dei giovani donando loro la sua inesauribile generosa
disponibilità per risvegliare in loro l’autostima e, quindi, la
responsabilità a seguirne la guida e l’insegnamento.
Attratti dal suo intelligente
carisma, dalla sua cosciente fermezza, dalla sua appassionata costanza e
dalla sua severa autorevolezza, anche i più riottosi si tranquillizzavano ed
ascoltavano le sue piacevoli ed interessanti lezioni che teneva nella sua
presidenza a gruppi di instabili ed indisciplinati che erano adusi a
disturbare il clima operoso in classe.
Dopo un ragionevole periodo di
questa sana ed efficace terapia didattica, gli studenti recuperati
ritornavano in classe disciplinati, responsabili e recuperati anche nel
profitto.
I tre grandi maestri del Preside
Auricchio furono Maria Montessori, Alessandro Manzoni ed Immanuel Kant.
Dalla Montessori trasse
l’ispirazione, il conforto e la passione a rivolgere interesse, attenzione
ed energie alla effettiva scoperta del bambino, padre dell’uomo, ed allo
sviluppo della grande potenzialità della personalità umana in corso di
formazione.
Diceva sempre che occorre
imparare da lui, ossia dalle sue manifestazioni spontanee, per perfezionarsi
come educatori, affinché dall’osservazione si possa passare alla
trasformazione, guidandolo attraverso gli aspri sentieri dell’indipendenza,
senza però mai agire in vece sua.
Soleva ripetere, con la
Montessori, che bisogna iniziare dall’infanzia per aiutarlo a costruirsi,
fin dalla tenera età un carattere forte, uno spirito vivace e una cultura
vasta e completa per affrontare l’incertezza del futuro e del progresso
della scienza e delle sue applicazioni.
Sulla base di queste
considerazioni e motivazioni fondò quest’Istituzione comprensiva, che soleva
chiamare officina di umanità, nella quale si forgia l’uomo cittadino del
mondo, ad iniziare dalla culla fino alle soglie dell’università.
Dal Manzoni, delle cui opere fu
appassionato studioso, aveva ereditato la predilezione per le piccole cose
che esprimono grandi sentimenti. Aveva tratto con intelligenza limpida, con
convinzione e fermezza il grande messaggio pedagogico della sua profonda
interiorità morale e spirituale consistente nel biasimo della giustizia
ingiusta, per l’iniquità della condanna pronunciata dai giudici della
Colonna Infame, succubi delle passioni e dei pregiudizi umani e vittime
della loro scarsa coscienza giuridica. Rei per aver ignorato che l’uomo deve
credere che la vita è tetra e che la gloria umana è vuota, se non
illuminate, assistite e consolate dalla pace e dalla provvidenza di Dio.
Nello studio delle opere di Kant
era stato attratto dalla legge morale, espressa nel comando universale e
sacro dell’imperativo categorico, contenuto nelle note tre massime, di cui
prediligeva la seconda, in quanto si concilia meglio con la dottrina
dell’uomo, quale portatore di valori assoluti, di San Tommaso, ribadita da
Jacques Maritain.
Nell’interpretare il contesto
della massima “Opera in modo da trattare l’umanità nella tua come
nell’altrui persona sempre come fine, mai come semplice mezzo” , Biagio,
come fervente cattolico praticante, metteva a fuoco, con la sua impeccabile
ermeneutica, il concetto dell’umanità come fine.
Il che voleva e vuole significare
il trionfo del paidocentrismo, ossia la valorizzazione della centralità del
bambino e della sua libertà spirituale, con la conseguente rivoluzione
copernicana che sposta il docente dal centro alla periferia, che trasforma
il programma da fine a mezzo restituendo didatticamente la naturale
autenticità alla persona umana fondata sui postulati della dignità, della
libertà, dell’autonomia, del dovere, della giustizia e dell’onestà, che è
migliore di ogni politica.
A tutti quelli che lamentavano
difficoltà nei compiti, soleva ripetere l’esortazione Kantiana: “Tu devi,
dunque, puoi”.
Si lamentava però che la società
del consumismo irrispettosa, egoista, intrigante e corrotta insiste nel
considerare il bambino nuovamente come se fosse una cosa ossia come mezzo di
profitto mercantile, privandolo ancora una volta della sua dignità e della
sua sacralità.
Per contrastarla, ha voluto
creare questa scuola affermatrice di vita e di servizio, alla quale ha
affidato il compito di ridare al “padre dell’uomo” la sua dignità, il senso
dei suoi valori, soprattutto quello morale, culturale e politico di
cittadino libero per una libera convivenza democratica.
Come si è notato dal discorso fin
qui fatto, la sua aderenza teoretica e speculativa al pensiero ed all’azione
dei tre Grandi, che aveva eletto a suoi preferiti maestri, gli consentì di
concepire l’educazione come opera ineluttabile di costruzione morale della
personalità e la didattica come arte e scienza di piccole cose, capaci di
far realizzare grandi ideali.
Ma questo esige, che l’educatore
si faccia coerentemente testimone del suo insegnamento con un tenore di vita
incontrovertibile, autenticamente umana, come aveva fatto Lui quando scelse
per sé Montessori, Kant e Manzoni, sollecitato dal prof. Roberto Mazzetti
che seguì per un quadriennio all’università di Salerno.
E fu una scelta provvidenziale in
quanto da essa scaturisce inesorabile questa scuola sorgente di cultura, di
umanità e di civiltà, che sarà immortalata nel tempo per i migliori destini
della gioventù che forma.
Talché, ne viene a sorseggiare la
linfa salutare di questi valori che la irrobustiscono per affrontare
saldamente e responsabilmente la sfida dell’incertezza del futuro che
minaccia la tensione etica della libertà e la sicurezza del progetto
universale dell’esistenza.
Siamo convinti che ne usciranno
vittoriosi perché i docenti di questa istituzione, alla luce della sua
insistente esortazione, che aveva mutuato da Kant, non insegnano loro
pensieri, ma insegnano a pensare pensieri e che il miglior modo di
comprendere è il fare.
E’ per questo che rimane in noi
indelebile il ricordo della sua eccezionale personalità, la quale del
magistero educativo fece la ragione della propria vita, impegnando tutte le
sue energie per gli altri e non per sé, tant’é che la trascurò al punto tale
da sacrificarla sul campo alla causa educativa delle giovani generazioni.
Soprattutto quelle contemporanee,
che non hanno avuto l’opportunità di conoscere il Suo tatto, la serena
austerità ed il garbo psicologico; di godere della Sua costante e premurosa
presenza che, anche nel silenzio, emanava i Suoi muti, ma eloquenti messaggi
che vibravano di vivacità provvidenziale, di incoraggiamento e di sostegno
soprattutto ai più bisognosi di aiuto nella difficile impresa autoeducativa.
Per dare tutta la solennità alla
commemorazione e per consolidarne nell’intimo la Memoria, ai giovani che non
hanno avuto la fortuna di conoscerlo mi rivolgo con un verso meraviglioso
del divino Poeta, tanto caro al Preside Biagio, mio compagno di studi
condivisi all’università, mio più che fraterno amico nella vita, mio
sostegno ideale ora nella continuazione della Sua opera:
“e se ‘l mondo
sapesse il cor ch’elli ebbe…
assai lo loda,
e più lo loderebbe” (Paradiso 6,140-142)
Alessandro
Scognamiglio |