L’aumento dei reati penali dei minorenni all’interno della scuola
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Riflessioni sul fenomeno e iniziative di contrasto alle condotte illecite *** L’ANSA, il 17 marzo 2007, ha divulgato la notizia che un ragazzo di una prima media di Pesaro, sorpreso da un docente nel fotografare le compagne intente a nuotare in piscina, è stato sospeso per un giorno per essersi rifiutato di consegnargli il telefonino. La preside ha affermato che la madre ha giustificato il figlio dicendo che aveva il cellulare nuovo e non voleva consegnarlo. In una scuola di Tor Pignattara a Roma bambini di sette anni minacciano la maestra che li ha sorpresi in classe con coltelli da cucina (fonte: tgcom ed il Messaggero del 30/3/07). A Catania un video riprende un’insegnante colpita al volto da un astuccio lanciato da uno studente.(fonte: tgcom del 30/3/07). A Messina uno studente liceale colpisce una prof.ssa d’Inglese con una bottiglia di plastica piena d’acqua (fonte: idem). Matteo Maritano, uno studente modello dell’Istituto Tecnico Sommeiller di Torino, per un anno e mezzo tormentato psicologicamente dai compagni, i quali lo chiamavano gay, prima si è accoltellato e poi si è lanciato da una finestra della sua casa. La mamma ha incolpato la scuola. Il Ministro della P.I. ha disposto un’inchiesta. (fonti: stampa e televisione del 5 aprile 2007). Queste notizie ed altre di condotte illecite meno o più gravi, rese pubbliche quasi ogni giorno dai mezzi d'informazione,(vedi, ad esempio, l’inchiesta “Viaggio nel nuovo bullismo” di Stella Pende, su Panorama del 5 aprile 2007), danno il preoccupante segnale che nelle scuole aumentano con progressione geometrica episodi di violenza, di umiliazioni inflitte a deboli e disabili, di aggressioni e pestaggi a compagni e addirittura a docenti, di fronte ai quali questi ultimi si sentono impotenti, atti vandalici, soprusi, furti, estorsioni, spaccio di stupefacenti ed altri reati. E’ questo un allarmante paradosso a forbice, se si considera che il Presidente della Corte d’Appello di Napoli, dott. Raffaele Numeroso, ha destato un certo ottimismo con la sua Relazione del 27 gennaio 2007, in occasione del rinnovo dell’Anno Giudiziario, quando ha testualmente riferito che in quest’anno non risultano significativi movimenti circa la qualità ed il numero dei reati complessivi commessi dai minori a livello di distretto. Comunque, nel contesto generale della sua analitica Relazione non si è lasciato sfuggire l’occasione di evidenziare che il problema giustizia ha ormai raggiunto livelli di un’autentica emergenza. Ben diversa è la situazione descritta dal Prefetto di Bari, Carlo Schilardi, costretto a segnalare al Ministro degli Interni l’aumento impressionante della criminalità in otto scuole del capoluogo ed in quattro della provincia pugliese, tanto da dichiararle pericolosamente a rischio, ed oltre il bullismo, per la gravità dei reati che si verificano. Il fatto grave è che i comportamenti che danno luogo a tali fenomeni allarmanti risultano quasi tutti in lesione della norma penale, tant’è che la reazione di buona parte dell’opinione pubblica, eccetto la sparuta minoranza di accomodanti buonisti che scagiona queste azioni vere e proprie delinquenziali, invoca addirittura una stretta repressiva magari abbassando l’età per l’imputabilità, aumentando ed inasprendo le pene, convinta che decisi interventi tempestivi possano bloccare il consolidamento della condotta illecita, vietando la precoce reiterazione col conseguente rinforzo retroattivo dei reati. C’è chi addirittura chiede che si puniscano anche i genitori con pene sussidiarie nei casi in cui il minore commetta reati penalmente sanzionabili introducendo a loro carico sanzioni per omessa vigilanza o per favoreggiamento, secondo i casi. Questo perché autori dei reati penali non sono più soltanto quelli che provengono da famiglie dominate da subcultura deviante e situate in contesti svantaggiati ai margini del sistema sociale regolare, ma anche i minori appartenenti a famiglie normali e, come specifica testualmente il Prefetto di Bari nella citata lettera, a famiglie della media borghesia deresponsabilizzate che abdicano alla loro autorità genitoriale e sono pronte ad attaccare la scuola fino al pestaggio addirittura di dirigenti scolastici, quando legittimamente intervengono per far rispettate il regolamento e la legalità nel circuito della vita scolastica. Tornando al nostro discorso, alla luce di un giusto e ragionevole garantismo, dobbiamo rilevare che è sintomatico che sulla stessa linea appare il convincimento inconfutabile espresso dal dott. Stefano Trapani, procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Napoli, alla commissione parlamentare della XIII legislatura, allorché sostiene con saggio equilibrio che talora i metodi repressivi fanno del bene e non del male al minore quando la repressione viene intesa come applicazione della norma e non come repressione pura e semplice. In tale dimensione logica e psicologica, che condividiamo, l’intervento preventivo sul minore si rende necessario ed efficace, prima che commetta reati. Esso si sostanzia in un impegno cooperativo condiviso fra magistratura, famiglia e scuola, con l’ausilio del servizio sociale. Ma la famiglia, indubbiamente, ha la responsabilità maggiore in forza dell’art. 147 del codice civile che le fa carico del compito di mantenere, educare ed istruire i figli. Questo in linea di principio. Ma nella realtà è la famiglia stessa che necessita d'interventi per mancanza soprattutto di coscienza e impegno morale che la rende responsabile di negligenza e di omissione dei suoi doveri. Non solo quella in difficoltà che vive in contesti sottosviluppati e svantaggiati di subcultura deviante ai margini del sistema sociale dove si annida e si sviluppa il virus della devianza e della violenza, alimentato dalla costanza di chi detta le regole di un codice comportamentale distorto ed in contrasto con la morale e con la legalità dell’ordinamento. Ma anche la famiglia considerata normale è ormai sotto l’attenzione degli analisti per l’aumento della frequenza di azioni penalmente perseguibili da parte dei loro figli, perché coinvolta anch’essa, sebbene incidentalmente, ed a vario titolo, nello sconcertante processo di disgregazione del tessuto urbano ad alto tasso permanente di criminalità. Intanto c’è da osservare che il sociologo Antonio Marziale, fondatore e Presidente dell’Osservatorio sui Diritti dei Minori, e l’avvocato penalista Antonino Napoli, legale del medesimo Osservatorio, i quali hanno approfondito l’analisi sociologica dei fenomeni e reati penali commessi dai minori, hanno concluso che ormai la pubertà precoce è una realtà scientificamente accertata. Si tratta di un anticipo dello sviluppo puberale e intellettuale di due-tre anni. Pertanto, hanno messo a punto un dispositivo da servire di base ad un’eventuale proposta di legge per abbassare al di sotto degli anni 14 la soglia dell'imputabilità, non per mandare in carcere un minorenne ma per evitare che ci finisca. C’è chi la fissa a 10 e chi a 12 anni. Ma non è questa una novità. Se diamo uno sguardo alla stretta repressiva operata recentemente in Francia, non ci scandalizziamo se la nuova legge francese prevede il carcere preventivo a partire dai 13 anni e la possibilità di sanzionare e rinchiudere in appositi centri educativi i bambini di 10 anni. La nuova legge d’0rientamento e di programmazione della giustizia francese ha dato già i suoi frutti facendo ridurre del 40% il numero dei reati in cui sono coinvolti i minori. Di parere contrario si è dichiarato recentemente il Guardasigilli Mastella, il quale ritiene addirittura crudele ed inutile abbassare la soglia della punibilità. Secondo la sua opinione, l’inasprimento delle pene non produce affatto una diminuzione della devianza minorile. E’ una finta scorciatoia che lui non intende imboccare per sconfiggere una sempre più accentuata tendenza al bullismo. Come alternativa preferisce intraprendere la strada che conduce al restringimento dell’area del disagio sociale ed all’allargamento delle risorse della solidarietà. Talché, egli conclude, il male non si vince combattendo il male, ma avversando il disimpegno morale. Su un’identica lunghezza d’onda si attesta la posizione del Presidente del Tribunale per i Minori di Salerno, Paolo Giannino, quando afferma che non abbassando l’età imputabile si previene e si cura la devianza e in alternativa propone la rete delle rappresentanze dell’intera struttura socio-territoriale. Intanto, ad agitare il dibattito, precipita un’inopinata corrispondenza da Londra, apparsa su la Repubblica del 2 aprile scorso, dal titolo “Usare la forza con gli alunni – Svolta choc nella scuola inglese”. Il governo di Tony Blair, su richiesta del sindacato nazionale degli insegnanti, ha disposto l’adozione di “metodi adeguati e perquisizioni” nei confronti degli alunni indisciplinati. Ai docenti viene consentito di intervenire addirittura con le mani per contrastare zuffe e liti nelle classi. Sono autorizzati a perquisire i sospetti portatori di coltelli, bastoni o pistole, a sequestrare telefonini e iPod senza dovere di giustificare il loro operato alle famiglie. Addirittura, possono obbligare gli studenti a rimanere il sabato a scuola, sebbene in tale giorno non si effettuino le lezioni. Sicché, il fenomeno in esame ha assunto proporzioni globali. Il confronto fra le posizioni contrastanti dà, quindi, adito ad un problema complesso, confuso e spinoso che richiede una serie di considerazioni e valutazioni da effettuare alla luce di un dibattito in cui si confrontino competenze ed esperienze eterogenee al fine di addivenire ad una soluzione che sia il risultato emergente dalla capacità e dalla volontà comune di conciliare in una sintesi armonica le istanze antropologiche, sociologiche, psicologiche, giurisprudenziali, pedagogiche, politiche, culturali e morali. Non è un'impresa facile conciliare le ragioni della repressione con quelle della prevenzione. Ma vediamo come stanno le cose, secondo l’ordinamento in vigore. Il minore, per dettato costituzionale, come persona fisica e come cittadino, ha diritti inviolabili e inderogabili, ai quali corrispondono altrettanti doveri inderogabili, la cui trasgressione può dar luogo alla responsabilità penale. In questo senso ogni persona indistintamente, quale soggetto di diritto, è titolare di facoltà e di poteri che non le possono essere contestati, senza che sia contestata la stessa qualità di persona. Perciò sono tutelati e protetti dallo Stato e costituiscono il presupposto di ogni diritto soggettivo. A fronte di questa facoltà di agire, protetta dall’ordinamento giuridico, il termine diritto assume anche il significato di norma o regola del comportamento umano alla quale ogni persona è obbligata a conformare il proprio agire. In quest'ottica abbiamo due definizioni del termine diritto: diritto oggettivo la prima (ius est norma agendi), e diritto soggettivo la seconda (ius est facultas agendi). L’ordinamento stabilisce che il minore fisiologicamente, intellettualmente e volitivamente non può essere ancora pari all’adulto, a causa dell’immaturità fisiologica e psichica, relativa all’età e perciò non ancora capace di compiere atti giuridici e di esercitare i propri diritti. Sulla base di quest'obiettiva condizione, fissa precisi limiti di età. E solo al di là dei quali riconosce operante tal esercizio. Intanto, finché non raggiunge l’età stabilita, a sostituire l’incapacità del minore di agire, interviene l’istituto della rappresentanza legale riconosciuta al genitore o affidata al tutore. Per quanto attiene il complesso aspetto dei diritti dei minori, la legislazione italiana ha recepito, con la legge 176/1991, la Convenzione sui diritti del fanciullo, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York il 20/11/1989 e, sulla base dell’art. 4 della stessa, ha emanato una serie di leggi che li tutelano soprattutto quando sono coinvolti in un reato penale. Dunque, la legislazione penale adotta nei riguardi del minore indiziato un trattamento che tiene conto della sua età nel pieno rispetto della sua dignità e della libertà fondamentale della sua persona umana. La fattispecie rientra nell’ambito del Diritto minorile che è il complesso delle norme civili, penali ed amministrative che hanno per oggetto l’attività posta in essere direttamente dal minore o quelle degli adulti, anche se non in via immediata riguardano i minori. Ai fini delle nostre riflessioni, inquadriamo la presente analisi nell’ottica della giustizia minorile riparativa in materia di devianza e criminalità minorile, rimandando ad altra trattazione la tutela dei diritti dei minori. Nell’ambito del diritto penale è stabilito che è imputabile per un fatto preveduto dalla legge come reato chi ha la capacità di intendere e di volere all’atto della commissione del fatto. Secondo la Cassazione, la capacità di intendere consiste nel rendersi conto e nell’abilità a valutare il valore sociale dell’atto, comprendendone il significato e le relative conseguenze. La capacità di volere consiste nell’attitudine della persona a determinarsi autonomamente. Il Codice penale, ai fini dell’imputabilità, irrigidendosi sul parametro meramente anagrafico e non psicologico, suddivide la minore età in due distinti periodi: 1^) fino a 14 anni stabilisce la presunzione assoluta, ossia senza prova contraria, di assenza della capacità di intendere e di volere. Pertanto, il giudice, ai sensi dell’art.26 del D.P.R. n.448/1988, pronuncia la sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità; 2^) dai 14 ai 18 anni sancisce che non esiste presunzione alcuna né di capacità, né d’incapacità. Compete al giudice di merito l’accertamento caso per caso della capacità e, quindi, dell’imputabilità del soggetto. L’art. 97 del Codice penale esclude dall’imputabilità il minore che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva ancora compiuto i quattordici anni di età, benché possa essere in realtà già perfettamente capace. E’, invece, ritenuto imputabile il minore che abbia compiuto i quattordici ma non ancora i diciotto, ma la pena è diminuita. A questo punto, si rende necessario chiarire che, per i minori che si trovano all’interno di questa fascia dell’età cronologica, la capacità di intendere e di volere, a differenza di quella dell’adulto, deve essere accertata, dimostrata e motivata dal giudice. Pertanto, manca del carattere della presunzione. La ricerca, quindi, è finalizzata all’accertamento di elementi di giudizio sul grado di sviluppo intellettivo e di formazione del carattere, su precedenti personali e familiari del soggetto sotto l’aspetto fisico, psichico-morale e socioambientale, che abbiano potuto influire negativamente sulla maturità intellettiva o sulla capacità di autodeterminazione, rapportandole al disvalore etico-sociale. Il concreto accertamento, di volta in volta, e, caso per caso, è espressamente voluto dall’art. 98 del Codice penale in considerazione del fatto che non tutti i soggetti compresi in una medesima fascia di età raggiungono puntualmente e sincronicamente la maturità richiesta ai fini penali. Questa, in effetti, può essere agevolata da situazioni ambientali favorevoli o ritardata da critiche situazioni sfavorevoli di degrado e addirittura di vere e proprie piaghe sociali. Perciò, può verificarsi che in una stessa fascia c’è chi viene considerato e valutato personalmente responsabile delle proprie azioni e chi no. Si spiega, in tal modo, anche perché tale articolo non stabilisce alcuna presunzione né di capacità, né d’incapacità. Si comprendono, altresì, le ragioni per cui ogni tribunale per i minorenni è composto in parte da giudici di carriera o togati e in parte da giudici onorari o non togati, detti anche esperti. Quest’ultimi assicurano una pluralità di competenze e di esperienze sotto i profili sociale, pedagogico e psicologico e sono giudici a tutti gli effetti perché, se con le loro competenze tracciano la storia ed il profilo della personalità, assicurando adeguate garanzie processuali in modo che la punibilità venga prevista almeno in astratto come estrema ratio, con il loro voto, alla pari dei togati, concorrono a sostanziare la decisione collegiale dell’organo giudicante. Esula dagl’intendimenti del presente intervento ogni presa di posizione in merito alla questione sull’opportunità di ridurre o meno le componenti non togate, non vagamente volute di sesso diverso, dagli organi di giurisdizione penale minorile e di escluderle addirittura completamente dal momento del giudizio del settore civile in quanto sarebbero prive di cognizioni tecnico-giuridiche, nonostante che la Corte Costituzionale abbia ribadito l’apporto qualificato e il contributo d'esperienze e sensibilità assicurate, peraltro, dal sesso diverso dei due giudici onorari. Ai fini della completezza, è opportuno fare velocemente un accenno alle più comuni disposizioni che regolano il processo a carico dei minori, a partire dagli organi: il Procuratore della Repubblica, il Giudice per le indagini preliminari, il Tribunale per i minorenni, il Procuratore generale presso la Corte di Appello, la Sezione di Corte di Appello per i minori ed il Magistrato di sorveglianza per i minori. Il DPR. 22 settembre 1998, n. 444, approvato dall’allora Presidente della Repubblica Cossiga, che contiene le Disposizioni sul processo penale a carico d'imputati minorenni ed il D.LGS. 28 luglio 1989, n. 272, approvato dallo stesso, “Norme di attuazione del DPR 22 settembre 1989, n.272 recante Disposizioni sul Processo penale a carico d'imputati minorenni” sono i fondamentali testi unici che racchiudono la basilare normativa penale. Nei principi generali risalta da subito che nel procedimento penale le disposizioni devono essere applicate in maniera adeguata alle esigenze educative del minorenne e che il giudice gli illustri non solo le attività processuali che si svolgono in sua presenza, ma anche il contenuto e le ragioni etico-sociali delle decisioni. Inoltre, l’imputato minorenne deve godere dell’assistenza affettiva e psicologica dei genitori o di altra persona idonea indicata dal minorenne stesso e ammessa dall’autorità giudiziaria in ogni stato e grado del processo. L’autorità giudiziaria si avvale nel contempo dei servizi minorili e dei servizi di assistenza istituiti dagli enti locali, nonché di una sezione specializzata di polizia con personale dotato di specifiche attitudini e preparazione. Da tutto ciò emerge che, fin dall’inizio, il procedimento penale minorile assume dimensione e caratterizzazione specifiche rispetto a quello riguardante l’adulto, garantendo come condizione pregiudiziale l’esclusione di ogni inasprimento di tipo repressivo in ossequio alle esigenze costituzionali di tutela dei minori ed in onore del giusto processo Sul versante della vita scolastica quotidiana i docenti devono mostrarsi disponibili ad ascoltare il deviante, facendolo parlare ed esporre i suoi problemi. E’ necessario comprenderlo e convincerlo a seguire le vie regolari e giuste. Deve capire che ogni devianza ostinata si risolve in condotta illecita e delittuosa che conduce facilmente al carcere. Nel contempo i docenti devono consolidare azioni di tutela dei diritti fondamentali dei compagni di scuola e di se medesimi, in qualità di candidati tutti a diventare vittime potenziali di comportamenti e di reati violenti e predatori. Si tratta di predisporre tutte le strategie dissuasive adatte al caso, facendo ricorso all’utilizzo degli strumenti legali, pedagogici, psicologici, criminologici e sociologici idonei ad affievolire la pericolosità sociale dei minori che si rendono colpevoli di atti illeciti e di reati, a prescindere dalla punibilità o meno, in relazione all’età. Consapevoli che tutte le intemperanza e tutte le devianza sono sempre riconducibili all’assenza di validi riferimenti edificanti ed all’esaltazione di modelli di vita negativi, i docenti cercheranno l’alleanza con i genitori per adottare insieme alternative che facilitino i rapporti relazionali, interpersonali e comunicativi, atti a sviluppare l’autostima, l’autocontrollo e l’autoresponsabilizzazione. La cultura della legalità non la si predica, ma si pratica. Ed in questa complessa attività operativa la scuola non può agire da sola, né può assumersi tutte le responsabilità. Occorre che anche la famiglia e le istituzioni svolgano la propria parte nell’interno di un progetto condiviso di prevenzione e di recupero che sia tradotto in vissuto etico e praticato sempre nei limiti della legalità. Ma se la famiglia si dimostra insensibile e disinteressata? Il Ministro della P.I. dispone che i genitori, all’inizio di ogni anno scolastico, per quanto concerne il dovere di vigilanza e di corresponsabilità dell’operato dei figli, sottoscrivano un patto sociale di corresponsabilità col quale si assumano l’impegno dell’operato dei figli nell’eventualità che arrechino danni alle persone e strutture. Si nutrono fondati dubbi sull’efficacia di tale rimedio Intanto, ci pare di gran lunga più fattibile quello che propone Luciana Izzo, Procuratore del Tribunale per i Minorenni di Napoli, anche se l’onere viene rimesso alla scuola. Però siamo convinti che possa abbastanza compensare il disimpegno familiare ed aspirare al successo. Si tratta per la scuola di operare un agevole cambiamento. Da esclusivo ambiente di studio deve costituirsi come una nuova realtà, sentita e vissuta come momento di libera coesione, approfittando del sintomatico fatto che i ragazzi sono tendenzialmente attratti da essa, ritenendola come punto d’incontro spontaneo di gioco e d’intrattenimento nelle ore in cui è chiusa, ossia dopo le ore di studio, quando si raggruppano e socializzano da soli negli spazi esterni. Chissà se la si riapre per tutto il pomeriggio e la serata, mettendo a disposizione il volontariato, non si riesca ad organizzare una strategia preventiva efficace da sottrarre i minori all’eventuale devianza? E’ questa la nostra provocazione. La risposta compete alle istituzioni per arrivare a traguardi concreti. Occorrono coraggio e buona volontà di passare da enunciazioni e proclami alle azioni concrete, intese a dare ai ragazzi opportunità di vivere nella loro scuola il maggior tempo possibile della giornata per consolidare il processo di socializzazione al riparo di ogni sollecitazione deviante, onde evitare che si trasformi in potenziale repertorio di dinamiche psicologiche e comportamentali illecite e addirittura delittuose, penalmente rilevanti, oggetto ovvio di denuncia alla procura della repubblica. Coordinatore Centro di Ricerca per le Scienze Criminologiche e Penitenziarie “Spartaco” |
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