Napoli 1799: i luoghi, gli avvenimenti, i personaggi
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Una rivoluzione partenopea *** Che il 1789, anno della Rivelazione Francese, sia uno spartiacque di eccezionale importanza nel lungo e tormentato corso della storia dell'umanità è un dato acclarato e risaputo da tutti. Nella Francia immobile e paludata di Luigi XVI sbocciò il germe della novità al grido di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza. Semplicemente, ma non semplicemente, si stavano gettando le basi di un mondo nuovo, oggi diremmo moderno. E il concetto più rivoluzionario di tutti risiedeva nella partecipazione popolare attiva e fattiva a tale cambiamento. È evidente che, data la novità e l'impreparazione popolare, si doveva evitare il rischio di una oclocrazia creando una sinergia tra l'elite borghese e la veemenza del popolo. La Rivoluzione francese fu merce di esportazione in Europa e, per circa trenta anni, la Francia fu al centro dell’interesse, della politica, dei timori di tutti gli stati europei che vedevano sconvolgere dal basso i cardini sui quali si reggevano. Anche a Napoli, seppure con spirito e sentimenti diversi, si commentavano e si discutevano le vicende che si susseguivano in Francia e, mentre, una parte della popolazione inorridiva di fronte ai fatti di sangue e deplorava il comportamento dei sanculotti, una minoranza composta da nobili e borghesi, più colta, si dimostrava preparata a ricevere quelle idee innovative e disposta a lottare per la loro affermazione. Quando si seppe che a Parigi erano stati prima incarcerati e poi condannati a morte il re e Maria Antonietta, sorella della regina, nobili e popolo minuto inorridirono, ma quel piccolo gruppo di napoletani si chiese se quel cruento sacrificio non fosse stato necessario per aprire la via al progresso e diffondere in Europa, e nel regno di Napoli, le magiche parole di Libertà, Fraternità ed Eguaglianza. Questa intelighentia partenopea colse, in quel momento, l'opportunità di trasferire nel Regno di Napoli, immobile e dispotico, quel sogno repubblicano. In effetti, Napoleone Bonaparte non dilagò in Europa sorretto soltanto dalle baionette del proprio esercito, ma spinto dalle idee del quale si dichiarava portatore e sostenitore. Di fronte agli avvenimenti francesi ed al dilagare del grande corso, Ferdinando IV non restò inerte e, armato un esercito di ben 60.000 uomini, posti agli ordini del generale austriaco Mack, accorse in aiuto del Papa riuscendo anche a riconquistare, per breve tempo, la città eterna che i francesi avevano conquistato scacciandone il pontefice. Ma tale successo fu di breve durata perché il generale Championnet, riordinate le file del proprio esercito, riconquistò la città, mise in fuga l’esercito napoletano e mosse verso Napoli. Tale avvenimento fu accolto nella capitale con animo diverso perché, se da un lato i “progressisti” gioirono, dall’altro la maggioranza dichiarò apertamente la sua avversione per i giacobini dichiarandosi disposta a contrastarne l’avanzata in tutti i modi. In Napoli si paventavano giorni molto tristi e si temevano battaglie alle porte della città e nelle strade per cui, su insistenza del ministro Acton, il 23 dicembre la corte s'imbarcò su alcune navi inglesi e portoghesi e fece vela per la Sicilia. L’allontanamento dei regnanti, però, non dissuase il popolo dal porre in essere tutto quanto era possibile per contrastare l’ingresso nella città dell’odiato nemico e per eliminare gli esecrati liberali, definiti traditori e complici dello straniero. Per tre giorni i lazzaroni, disarmati e laceri, combatterono aspramente contro le truppe straniere, ma alla fine, come era prevedibile, il generale Championnet ebbe ragione di quei poveretti che si opponevano proprio a colui che rappresentava il trionfo dei “sanculotti”, i fratelli francesi dei diseredati napoletani. I repubblicani napoletani, tra i quali Gennaro Serra di Cassano ed Eleonora Pimenthel Fonseca, arroccati nel castello di S.Elmo, temettero, e seriamente, per le loro vite, tanto più che i popolani di Santa Lucia proclamavano a gran voce la loro intenzione da mettere a morte i giacobini esortando il loro sovrano ad impiccare i traditori: preti, monaci e cavalieri, ma quando i francesi ebbero la meglio, usciti finalmente dal castello, si affrettarono ad inneggiare ai “martiri della libertà e della patria”, ossia a quelli tra di loro che il furore popolare aveva colpito. Come si può notare, non mancarono le contraddizioni, gli episodi di valore e quelli poco edificanti. Venne così proclamata la Repubblica Partenopea, che venne imposta ad un popolo che ignorava cosa fosse, che non la comprese e che rinnegò, nell’occasione, anche San Gennaro, colpevole di aver rinnovato il miracolo facendo liquefare il proprio sangue alla presenza del generale Championnet. Cosa conosciuta da pochi, il venerato Patrono perse, anche se per breve tempo, il posto sostituito, comunque da un altro grande Santo molto amato a Napoli: Sant’Antonio da Padova. Puntellati dalle baionette francesi, i liberali cominciarono a distruggere i simboli del potere borbonico a cominciare dalla statua di re Carlo che sorgeva nel largo del Mercatello. Scrittori e poeti, cominciarono a fare a gara nel magnificare gesta eroiche mai fatte e a deplorare l’opera di Ferdinando affermando, bugiardamente, che “Napoli, sul punto di morire, risorgeva in una luce nuova, mentre tutti intorno gridavano libertà”. Anche il generale Championnet affermò, chiaramente in malafede, che a Napoli l’entusiasmo era alto e che era certo che il popolo napoletano sarebbe stato del tutto degno del nome di repubblicano. Affermazioni smentite dalle continue aggressioni ai suoi soldati, dagli intensi rapporti che barche di pescatori assicuravano con la corte fuggiasca e dalle fucilazioni cui doveva ricorrere per arginare l’ostilità popolare che trovò sostegno nel cardinale Ruffo che, armato un esercito, quello dei Sanfedisti, risalì la penisola puntando sulla capitale attraverso la Calabria. Il potere regio fu ristabilito, con tripudio, il 13 giugno 1799. I francesi si ritirarono ed i “lazzari” si abbandonarono a reazioni violentissime contro i repubblicani. Molti di questi furono trucidati mentre quelli che scamparono al linciaggio morirono sul patibolo, come la Pimenthel Fonseca e Serra di Cassano che vennero impiccati in piazza del Mercato, tra le urla di gioia e gli insulti della plebaglia. Napoli, come d’altronde il resto d’Europa, conobbe, da questo momento, anni assai pericolosi. MICHELE ANDONAIA |
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