IL PIANETA CHE SCOTTA
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Inquinamento atmosferico *** Ormai neanche la neve è più bianca. Può accadere, infatti, di scoprirla giallastra e maleodorante come quella caduta in Siberia solo pochi mesi fa. L’ennesima conseguenza dell’inquinamento atmosferico e del clima in rapido e costante cambiamento, stando almeno alle conclusioni del 4° rapporto dell’Ipcc (Intergovernamental Panel on Climate Change), la commissione istituita nel 1988 dalle Nazioni Unite per studiare l’impatto degli esseri umani sul clima. Il documento, presentato lo scorso Febbraio a Parigi, è frutto di un lavoro durato sei anni che ha coinvolto oltre duemila tra i climatologi più accreditati al mondo. Le conclusioni degli esperti sono sconvolgenti: il nostro pianeta è a rischio collasso a causa del riscaldamento del clima che diventa, giorno dopo giorno, sempre meno controllabile. Le responsabilità umane, dicono gli scienziati, sono certe al 90%. La temperatura, durante il secolo in corso, potrà subire un aumento compreso tra 1 e 6 gradi con scenari tanto più catastrofici quanto maggiore sarà l’aumento delle temperature. “Con un grado d’aumento – ha spiegato Piers Forster, docente di cambiamenti climatici all’università britannica di Leeds e membro dell’Ipcc – circa 50 milioni di persone avranno problemi a procurarsi l’acqua, le malattie legate al caldo tropicale costeranno 300mila morti l’anno e più della metà della barriera corallina subirà danni irreversibili”. Due gradi in più porterebbero naturalmente conseguenze peggiori. Molte specie di pesci sparirebbero dai mari e inizierebbe il processo che, nell’arco di un millennio, scioglierebbe i ghiacciai antartici e della Groenlandia, il che comporterebbe, a sua volta, un innalzamento del livello del mare di circa 14 metri con almeno dieci milioni di persone senza tetto e senza terra. Verrebbe da dire “come in un film di fantascienza” se non ci trovassimo di fronte ad un agghiacciante reality, ricco, nostro malgrado, di colpi di scena. Già, perché l’ipotesi più accreditata dagli esperti parla di un aumento delle temperature di tre gradi entro fine secolo. “Aumenterebbero siccità e alluvioni, nell’Europa meridionale la disponibilità idrica diventerebbe un problema serio e – spiega Forster - fino a 4 miliardi di persone nel mondo sarebbero costrette a convivere con la penuria d’acqua. La corrente calda del Golfo potrebbe, inoltre, rallentare decisamente o fermarsi del tutto, cambiando drasticamente il clima dell’Europa atlantica”. L’Ipcc, come detto, ha disegnato scenari anche più catastrofici qualora si arrivasse entro fine secolo ad aumenti di temperatura di 4 o addirittura 5 gradi. Si scioglierebbero i ghiacciai dell’Himalaya e la crescita del livello dei mari segnerebbe la definitiva scomparsa di parte della Florida e delle coste basse degli Usa e di tanti paradisi delle vacanze. Anche città belle ed importanti come New York e Venezia sarebbero a rischio “estinzione”. Sarà tutto vero o almeno plausibile? Il rapporto, che si fonda su dati scientifici documentati, è stato comunque oggetto di critiche e non sono mancati gli interventi dei cosiddetti “negazionisti”. Alcuni purtroppo pilotati però dalle multinazionali del petrolio, come ha dimostrato di recente un’inchiesta del quotidiano inglese Guardian su un tentativo di corruzione all’interno del mondo scientifico. Ad alcuni ricercatori sono stati offerti, senza successo, 10mila dollari per screditare il rapporto conclusivo della Ipcc. Il pericolo resta evidente, si condivida in tutto o in parte il monito lanciato da Parigi. La terra ha la febbre, alta ed in aumento. In costante aumento. Urgono dosi massicce di antipiretici che, nel caso specifico, significa abbattere al più presto le emissioni nocive. I governi, dal canto loro, stanno cominciando a prendere impegni specifici. Dopo anni in cui gli Usa hanno negato l’evidenza scientifica dell’effetto serra (rifiutandosi, tra l’altro, di aderire al Protocollo di Kyoto con il quale molti stati si sono impegnati a diminuire le emissioni di gas serra entro il 2020), l’annuncio che Bush punta a ridurre del 20% i consumi americani di benzina in dieci anni va accolto con fiducia e, se non altro, come la presa di coscienza, da parte della nazione più sviluppata del mondo, del bisogno di fare qualcosa prima che sia davvero troppo tardi. La stessa presa di coscienza su cui si fonda l’ambizioso programma europeo che punta a ridurre del 30% le emissioni carboniche entro il 2020 e che promette forti investimenti nelle nuove tecnologie pulite. Sarebbe necessaria, tuttavia, una rivoluzione culturale che andasse a stimolare la coscienza ambientalista che c’è in ogni individuo, per renderlo più virtuoso nel vivere quotidiano. Gesti da apprendere per comprenderne fino in fondo l’importanza. Gli inglesi ci stanno già provando inserendo nei programmi scolastici lo studio dell’inquinamento, del risparmio energetico e del riciclaggio dei rifiuti. Forse non sperano di ritrovare un giorno la neve candida ma di riscoprirla magari meno puzzolente.
ALLOCCA CARMELA |
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